26 gennaio 2008

L'Italia s'è d'esta?
Il Governo delle Frodi, grazie al cielo, è ormai soltanto un incubo da dimenticare in fretta.
Bisogna pensare al futuro e fare in modo che l'Italia possa finalmente essere governata da gente capace e onesta. Il nostro Paese ha bisogno di un governo serio, forte, stabile, attivo, intraprendente e coraggioso.
Secondo noi, la strada da percorrere è quella delle elezioni anticipate.
E' possibile modificare entro aprile la legge elettorale e i regolamenti parlamentari e andare subito al voto. Non vedo perché la sinistra desideri tanto cambiare la Costituzione, visto che ci vuole molto tempo e che ha fatto di tutto perché fosse bocciata l'ottima Riforma Costituzionale approvata dal centrodestra durante la scorsa legislatura.
Gioca coi Brodi: gioco1 - gioco2
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17 gennaio 2008

Riportiamo in questo post il testo integrale del discorso che Papa Benedetto XVI avrebbe dovuto pronunciare all'universitá di Roma «La Sapienza» in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico.

È per me motivo di profonda gioia incontrare la comunità della "Sapienza - Università di Roma" in occasione della inaugurazione dell’anno accademico. Da secoli ormai questa Università segna il cammino e la vita della città di Roma, facendo fruttare le migliori energie intellettuali in ogni campo del sapere. Sia nel tempo in cui, dopo la fondazione voluta dal Papa Bonifacio VIII, l’istituzione era alle dirette dipendenze dell’Autorità ecclesiastica, sia successivamente quando lo Studium Urbis si è sviluppato come istituzione dello Stato italiano, la vostra comunità accademica ha conservato un grande livello scientifico e culturale, che la colloca tra le più prestigiose università del mondo.

Da sempre la Chiesa di Roma guarda con simpatia e ammirazione a questo centro universitario, riconoscendone l’impegno, talvolta arduo e faticoso, della ricerca e della formazione delle nuove generazioni. Non sono mancati in questi ultimi anni momenti significativi di collaborazione e di dialogo. Vorrei ricordare, in particolare, l’Incontro mondiale dei Rettori in occasione del Giubileo delle Università, che ha visto la vostra comunità farsi carico non solo dell’accoglienza e dell’organizzazione, ma soprattutto della profetica e complessa proposta della elaborazione di un "nuovo umanesimo per il terzo millennio".

Mi è caro, in questa circostanza, esprimere la mia gratitudine per l’invito che mi è stato rivolto a venire nella vostra università per tenervi una lezione. In questa prospettiva mi sono posto innanzitutto la domanda: Che cosa può e deve dire un Papa in un’occasione come questa? Nella mia lezione a Ratisbona ho parlato, sì, da Papa, ma soprattutto ho parlato nella veste del già professore di quella mia università, cercando di collegare ricordi ed attualità. Nell’università "Sapienza", l’antica università di Roma, però, sono invitato proprio come Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale. Certo, la "Sapienza" era un tempo l’università del Papa, ma oggi è un’università laica con quell’autonomia che, in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto sempre parte della natura di università, la quale deve essere legata esclusivamente all’autorità della verità. Nella sua libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche l’università trova la sua funzione particolare, proprio anche per la società moderna, che ha bisogno di un’istituzione del genere.

Ritorno alla mia domanda di partenza: che cosa può e deve dire il Papa nell’incontro con l’università della sua città? Riflettendo su questo interrogativo, mi è sembrato che esso ne includesse due altri, la cui chiarificazione dovrebbe condurre da sé alla risposta. Bisogna, infatti, chiedersi: qual è la natura e la missione del Papato? E ancora: qual è la natura e la missione dell’università? Non vorrei in questa sede trattenere Voi e me in lunghe disquisizioni sulla natura del Papato. Basti un breve accenno. Il Papa è anzitutto Vescovo di Roma e come tale, in virtù della successione all’Apostolo Pietro, ha una responsabilità episcopale nei riguardi dell’intera Chiesa cattolica. La parola "vescovo"–episkopos, che nel suo significato immediato rimanda a "sorvegliante", già nel Nuovo Testamento è stata fusa insieme con il concetto biblico di Pastore: egli è colui che, da un punto di osservazione sopraelevato, guarda all’insieme, prendendosi cura del giusto cammino e della coesione dell’insieme. In questo senso, tale designazione del compito orienta lo sguardo anzitutto verso l’interno della comunità credente. Il Vescovo – il Pastore – è l’uomo che si prende cura di questa comunità; colui che la conserva unita mantenendola sulla via verso Dio, indicata secondo la fede cristiana da Gesù – e non soltanto indicata: Egli stesso è per noi la via. Ma questa comunità della quale il Vescovo si prende cura – grande o piccola che sia – vive nel mondo; le sue condizioni, il suo cammino, il suo esempio e la sua parola influiscono inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme. Quanto più grande essa è, tanto più le sue buone condizioni o il suo eventuale degrado si ripercuoteranno sull’insieme dell’umanità.

Vediamo oggi con molta chiarezza, come le condizioni delle religioni e come la situazione della Chiesa – le sue crisi e i suoi rinnovamenti – agiscano sull’insieme dell’umanità. Così il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell’umanità. Qui, però, emerge subito l’obiezione, secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramente in base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi dalla fede e per questo non potrebbe pretendere una loro validità per quanti non condividono questa fede. Dovremo ancora ritornare su questo argomento, perché si pone qui la questione assolutamente fondamentale: che cosa è la ragione? Come può un’affermazione – soprattutto una norma morale – dimostrarsi "ragionevole"? A questo punto vorrei per il momento solo brevemente rilevare che John Rawls, pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragione "pubblica", vede tuttavia nella loro ragione "non pubblica" almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono. Egli vede un criterio di questa ragionevolezza fra l’altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina. In questa affermazione mi sembra importante il riconoscimento che l’esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell’umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato.

Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell’umanità come tale – la sapienza delle grandi tradizioni religiose – è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee. Ritorniamo alla domanda di partenza. Il Papa parla come rappresentante di una comunità credente, nella quale durante i secoli della sua esistenza è maturata una determinata sapienza della vita; parla come rappresentante di una comunità che custodisce in sé un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l’intera umanità: in questo senso parla come rappresentante di una ragione etica.

Ma ora ci si deve chiedere: e che cosa è l’università? Qual è il suo compito? È una domanda gigantesca alla quale, ancora una volta, posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi telegrafico con qualche osservazione. Penso si possa dire che la vera, intima origine dell’università stia nella brama di conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. In questo senso si può vedere l’interrogarsi di Socrate come l’impulso dal quale è nata l’università occidentale. Penso ad esempio – per menzionare soltanto un testo – alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda: "Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti … Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?" (6 b – c). In questa domanda apparentemente poco devota – che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino – i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d’uscita da desideri non appagati; l’hanno compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore.

Per questo, l’interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell’essere umano era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell’essenza del loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno, quindi, di sciogliere o accantonare l’interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell’ambito della fede cristiana, nel mondo cristiano, nascere l’università. È necessario fare un ulteriore passo. L’uomo vuole conoscere – vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theoría, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra "scientia" e "tristitia": il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto – chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste.

Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l’ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa.

Nella teologia medievale c’è stata una disputa approfondita sul rapporto tra teoria e prassi, sulla giusta relazione tra conoscere ed agire – una disputa che qui non dobbiamo sviluppare. Di fatto l’università medievale con le sue quattro Facoltà presenta questa correlazione. Cominciamo con la Facoltà che, secondo la comprensione di allora, era la quarta, quella di medicina. Anche se era considerata più come "arte" che non come scienza, tuttavia, il suo inserimento nel cosmo dell’universitas significava chiaramente che era collocata nell’ambito della razionalità, che l’arte del guarire stava sotto la guida della ragione e veniva sottratta all’ambito della magia. Guarire è un compito che richiede sempre più della semplice ragione, ma proprio per questo ha bisogno della connessione tra sapere e potere, ha bisogno di appartenere alla sfera della ratio. Inevitabilmente appare la questione della relazione tra prassi e teoria, tra conoscenza ed agire nella Facoltà di giurisprudenza. Si tratta del dare giusta forma alla libertà umana che è sempre libertà nella comunione reciproca: il diritto è il presupposto della libertà, non il suo antagonista.

Ma qui emerge subito la domanda: come s’individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all’essere buono dell’uomo? A questo punto s’impone un salto nel presente: è la questione del come possa essere trovata una normativa giuridica che costituisca un ordinamento della libertà, della dignità umana e dei diritti dell’uomo. È la questione che ci occupa oggi nei processi democratici di formazione dell’opinione e che al contempo ci angustia come questione per il futuro dell’umanità. Jürgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa "forma ragionevole" egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un "processo di argomentazione sensibile alla verità" (wahrheitssensibles Argumentationsverfahren). È detto bene, ma è cosa molto difficile da trasformare in una prassi politica.

I rappresentanti di quel pubblico "processo di argomentazione" sono – lo sappiamo – prevalentemente i partiti come responsabili della formazione della volontà politica. Di fatto, essi avranno immancabilmente di mira soprattutto il conseguimento di maggioranze e con ciò baderanno quasi inevitabilmente ad interessi che promettono di soddisfare; tali interessi però sono spesso particolari e non servono veramente all’insieme. La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi. Io trovo significativo il fatto che Habermas parli della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico. Ma allora diventa inevitabile la domanda di Pilato: che cos’è la verità? E come la si riconosce? Se per questo si rimanda alla "ragione pubblica", come fa Rawls, segue necessariamente ancora la domanda: che cosa è ragionevole? Come una ragione si dimostra ragione vera? In ogni caso, si rende in base a ciò evidente che, nella ricerca del diritto della libertà, della verità della giusta convivenza devono essere ascoltate istanze diverse rispetto a partiti e gruppi d’interesse, senza con ciò voler minimamente contestare la loro importanza.

Torniamo così alla struttura dell’università medievale. Accanto a quella di giurisprudenza c’erano le Facoltà di filosofia e di teologia, a cui era affidata la ricerca sull’essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le Facoltà: essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l’uomo sia distolto dalla ricerca della verità. Ma come possono esse corrispondere a questo compito? Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente.

Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda – in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta. Teologia e filosofia formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall’altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità. È merito storico di san Tommaso d’Aquino – di fronte alla differente risposta dei Padri a causa del loro contesto storico – di aver messo in luce l’autonomia della filosofia e con essa il diritto e la responsabilità propri della ragione che s’interroga in base alle sue forze.

Differenziandosi dalle filosofie neoplatoniche, in cui religione e filosofia erano inseparabilmente intrecciate, i Padri avevano presentato la fede cristiana come la vera filosofia, sottolineando anche che questa fede corrisponde alle esigenze della ragione in ricerca della verità; che la fede è il "sì" alla verità, rispetto alle religioni mitiche diventate semplice consuetudine. Ma poi, al momento della nascita dell’università, in Occidente non esistevano più quelle religioni, ma solo il cristianesimo, e così bisognava sottolineare in modo nuovo la responsabilità propria della ragione, che non viene assorbita dalla fede. Tommaso si trovò ad agire in un momento privilegiato: per la prima volta gli scritti filosofici di Aristotele erano accessibili nella loro integralità; erano presenti le filosofie ebraiche ed arabe, come specifiche appropriazioni e prosecuzioni della filosofia greca. Così il cristianesimo, in un nuovo dialogo con la ragione degli altri, che veniva incontrando, dovette lottare per la propria ragionevolezza. La Facoltà di filosofia che, come cosiddetta "Facoltà degli artisti", fino a quel momento era stata solo propedeutica alla teologia, divenne ora una Facoltà vera e propria, un partner autonomo della teologia e della fede in questa riflessa. Non possiamo qui soffermarci sull’avvincente confronto che ne derivò.

Io direi che l’idea di san Tommaso circa il rapporto tra filosofia e teologia potrebbe essere espressa nella formula trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro "senza confusione e senza separazione". "Senza confusione" vuol dire che ognuna delle due deve conservare la propria identità. La filosofia deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero. Insieme al "senza confusione" vige anche il "senza separazione": la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all’umanità come indicazione del cammino.

Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell’umanesimo cresciuto sulla basa della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica. Certo, molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio soltanto all’interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile. È vero, però, al contempo che il messaggio della fede cristiana non è mai soltanto una "comprehensive religious doctrine" nel senso di Rawls, ma una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa. Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi. Ebbene, finora ho solo parlato dell’università medievale, cercando tuttavia di lasciar trasparire la natura permanente dell’università e del suo compito.

Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere, che nell’università sono valorizzate soprattutto in due grandi ambiti: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all’umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo, e di questo possiamo solo essere grati.

Ma il cammino dell’uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale – per parlare solo di questo – è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Detto dal punto di vista della struttura dell’università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande.

Se però la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.

Con ciò ritorno al punto di partenza. Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università? Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro.

Città del Vaticano, 17 gennaio 2008

Benedictus XVI
16 gennaio 2008


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15 gennaio 2008

Il grande Galileo e i piccoli professoroni
L'ultimo successo del mondo accademico italiano non può che far onore al nostro Paese. Subito dopo la splendida immagine dell'Italia che la sinistra ha fornito al mondo con la vicenda dei rifiuti campani ecco un altro trofeo ottenuto dagli intellettuali rossi da mettere in bacheca e mostrare orgogliosi.

Ebbene sì, i "professoroni" della Sapienza sono riusciti a impedire al Papa di pronunciare un discorso e di esprimere il suo punto di vista.
Hanno deciso di non confrontarsi su nessun tema con uno dei massimi teologi viventi.
Nessun dialogo, nessun dibattito... parteciparanno però all' "assedio sonoro", alla "frocessione" e alla "lectio magistralis" di Andrea Rivera organizzati dai collettivi studenteschi.
Lo hanno deciso in nome della libertà di pensiero (la loro) e della scienza (la loro?).

Ha fatto bene il Papa a non alimentare le polemiche e lasciare che i "professoroni raccomandati" affondassero nel mare di brutte figure che hanno fatto difendendo la loro assurda e ottusa posizione.

Nei mesi scorsi avevamo parlato di "pericolo per la democrazia", pericolo per la libertà di parola... non pensavamo che saremmo arrivati fino a questo punto. Le cose stanno degenerando troppo velocemente.
La prepotenza e l'arroganza di pochi sta prevalendo sul buon senso dei più.
L'ultima volta che è accaduto qualcosa di simile in Italia, l'ultima volta che i prepotenti hanno prevalso, l'ultima volta che la libertà di pensiero è stata soppressa è stato per colpa di un odioso regime che ha portato tanta sofferenza nel nostro Paese.
Dio non voglia che stia accadendo la stessa cosa, ma i timori sembrano fondati.
Dobbiamo stare attenti, bisogna vigilare.

I luminari della scienza di Roma, i guru dell'Accademia italiana, i professoroni raccomandati della Sapienza possono gridare vittoria: IL PAPA NON PARLERA' !!
Hanno vendicato l'umiliazione subita da Galileo più di 400 anni fa.
Hanno punito la citazione infelice del cardinale tedesco pronunciata 20 anni fa.
Che successone per il mondo accademico italiano, come sarà contento Galileo Galilei.

Io però sono sicuro che il grande Galileo in questo momento, guardando l'onta con cui questi piccoli uomini hanno ricoperto la figura dello scienziato, si stia rivoltando nella tomba e provi un grande senso di vergogna e di disagio.
Vorrebbe penderli a ceffoni quei professoroni da quattro soldi che sfuggono al confronto e vorrebbe portarli per le orecchie di fronte al Santo Padre per vedere come se la cavano.
Lascia perdere Gali, non ne vale la pena, non meritano tanta importanza, perché esporli a ulteriori brutte figure?

Einstein diceva: "La scienza senza la religione è zoppa. La religione senza la scienza è cieca".
Lui probabilmente avrebbe avuto piacere ad ascoltare le parole di Papa Benedetto XVI, e non avrebbe avuto paura a confrontarsi con lui, ma lui era Einstein... non era un professorone raccomandato.

SìGlobal
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I professoroni raccomandati e il nuovo oscurantismo
Una delle notizie più discusse in questi giorni è il tentativo di alcuni "professoroni" universitari di impedire a Papa Benedetto XVI di intervenire, giovedì prossimo, all'inaugurazione dell' anno accademico della Sapienza.

La colpa del Papa sarebbe stata quella di aver *citato* in un suo discorso tenuto nel 1990, quando era cardinale, una frase di Feyerabend: "All'epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto".
In pratica si critica una citazione di 20 anni fa estrapolata dal contesto in cui è stata pronunciata.

L'atteggiamento di questi scienziatoni è davvero sconcertante.
Infatti, se supponessimo che questi fossero davvero dei luminari della scienza che occupano il loro posto perché sono bravi e non perché hanno la tessera del PD o di Rifondazione Comunista allora, tra le loro doti, ci dovrebbero essere: la propensione al dialogo, l'apertura mentale, l'amore per il vero e la tolleranza.
Uno scienziato dovrebbe esprimere delle critiche motivando la propria opinione con dei dati oggettivi e delle dimostrazioni, in poche parole dovrebbe intervenire sul merito delle questioni e non impedire in modo pregiudizievole a qualcuno di parlare ed esprimere la propria opinione.
Tra l'altro il Papa è un uomo di grande cultura e quindi dovrebbe essere stimolante per un vero intellettuale confrontare le proprie idee con un parere così autorevole.

Ma è davvero il confronto che vogliono questi "professoroni"?
Siamo sicuri che vogliano percorrere con umiltà e sincerità la strada che porta alla verità?
Oppure i loro obiettivi, i loro interessi e le loro aspirazioni esulano dall'ambito scientifico?

Se questi "professoroni" dovessero essere giudicati in base alla preparazione dei loro studenti, dovremmo dire che non valgono una cicca se sono vere le statistiche diffuse qualche settimana fa dai media.
Secondo queste statistiche, infatti, gli studenti italiani di ogni grado e livello sarebbero tra i meno preparati d'Europa.

Se dovessimo giudicare questi "professoroni" in base ai loro studi e alle loro pubblicazioni non so quanti di essi si salverebbero, visto che l'Università italiana non premia il merito, ma premia soltanto i "natali nobili" e i raccomandati.
Sicuramente ci sono delle eccezioni.

Per questo dico che in questa vicenda chi ha fatto una figura meschina è stata proprio la lobby dei *baroni raccomandati*.

Visto che ci siamo, diamo un volto alle colpe!!!

Se i risultati scientifici e didadittici dell'Università italiana sono così scarsi, di chi è la colpa?
Possibile che si debbano attribuire le colpe sempre allo Stato, al Governo o ad altri fattori esterni?
Vogliamo dire una buona volta che se una istituzione (l'Università in questo caso) non funziona allora qualche colpa ce l'ha anche chi ci lavora dentro?
Se nel mondo accademico italiano fa carriera non chi è bravo ma chi è raccomandato o chi ha "nobili natali", un po' di colpa non ce l'hanno anche i "baroni raccomandati" ?
Se nel mondo accademico i più bravi scappano all'estero perché i pochi posti disponibili in Italia sono okkupati dai raccomandati, un po' di colpa non ce l'hanno anche i "baroni raccomandati"?

A voi l'ardua sentenza.

SìGlobal

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13 gennaio 2008

La fattoria degli italiani
La “Fattoria degli Animali” è uno dei libri più famosi dello scrittore inglese George Orwell.
E’ una fiaba in cui i protagonisti sono degli animali antropomorfi e racconta la storia di una rivoluzione fallita miseramente col tradimento dei princìpi e degli ideali che l’avevano ispirata.
Gli animali di una fattoria padronale, stanchi dei soprusi degli esseri umani, si ribellano al proprietario, signor Jones, e, dopo aver cacciato lui e sua moglie, provano a stabilire un nuovo ordine fondato sui concetti di uguaglianza e solidarietà tra gli animali. All’indomani della rivoluzione, però, emerge tra i rivoluzionari un gruppo di maiali prepotenti e dispotici che con l’astuzia, la cupidigia, l’egoismo, l’arroganza e l’ipocrisia che li contraddistinguono si impongono in modo tirannico sugli altri animali che sono più ingenui e semplici.

Questi prepotenti, guidati dal grosso maiale Napoleon, grazie all’intimidazione, all’inganno e alla massicia opera di disinformazione a danno degli altri animali si impossessano di tutte le leve del potere, accumulano benefici e privilegi e si appropriano indebitamente degli utili della fattoria.
Col tempo, l’incapacità della nuova classe dirigente di amministrare e di gestire la fattoria ha conseguenze nefaste sull’economia della fattoria e sulle condizioni di vita degli animali che peggiorano di giorno in giorno, fino a diventare insostenibili. Ma gli animali maltrattati, sfruttati, ingannati e affamati dai nuovi tiranni non riescono a ribellarsi perché Napoleon ha instaurato un vero e proprio regime di terrore e si avvale di una milizia di cani per imporre la sua volontà e uccidere chi non è d’accordo con lui.
Il dittatore con furbizia, viltà e malignità cerca di frenare il malcontento degli altri animali paventando in continuazione il ritorno del “cattivo” signor Jones, attribuendosi meriti inesistenti e facendo ricadere tutte le colpe della crisi che investe la fattoria su Palla di Neve, un maiale che era stato tra gli artefici della rivoluzione ma che era stato costretto alla fuga dallo stesso Napoleon per invidia e perché gli avrebbe impedito l’instaurazione del regime.
Gli ideali e i principi della rivoluzione sono così calpestati dalla tirannide dei maiali che diventano peggiori degli uomini in prepotenza ed arroganza tanto da rinnegare le “7 leggi” che avrebbero dovuto assicurare libertà ed uguaglianza a tutti. Così, un po’ alla volta, le 7 leggi vengono rimosse e modificate fino a ridurle ad un unico principio: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri

L’ANALOGIA TRA QUESTA STORIA e la situazione in cui versa l’Italia in questo periodo è sconvolgente. La sinistra italiana, che negli anni scorsi aveva dipinto Berlusconi come il peggior tiranno esistente e il peggior premier possibile, una volta andata al potere, ha messo da parte le ipocrite promesse della campagna elettorale e ha iniziato a governare “contro” gli italiani conducendo il paese nel caos e nel degrado più totale. Come il dittatore Napoleon della fiaba, il governo delle Frodi nasconde l’incapacità di governare e i propri errori attribuendo ad altri la colpa delle proprie scelte sbagliate che aggravano la crisi economica del Paese e peggiorano di giorno in giorno le condizioni di vita dei cittadini. Le leggi e le riforme del governo Berlusconi, contro cui si era scagliata la propaganda demagogica e populistica della sinistra, sono state appena ritoccate e non cancellate come era stato promesso, dimostrazione del fatto che erano leggi valide e che le critiche mosse all’epoca della loro approvazione erano ipocrite e strumentali. Ma l’analogia con la fiaba di Orwell non si limita solo al peggioramento della situazione del Paese introdotto dal regime Prodi, ma anche alla disinformazione propagandistica dei giornali che proteggono il governo e al comportamento scorretto e antidemocratico dei membri dell’esecutivo che, sfruttando i poteri concessi dal loro ruolo istituzionale, si proteggono a vicenda e cercano di impedire che la Magistratura indaghi sulle loro malefatte. Insomma anche il programma elettorale dell’Unione può essere riassunto nell’unico principio: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri”.

SìGlobal
Pisa, 1 novembre 2007

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12 gennaio 2008

Diamo un volto alle colpe
Con questo post parte la nuova rubrica di questo blog: "Diamo un volto alle colpe".
Il suo scopo è quello di mostrare o di raccontare un esempio di cattiva amministrazione e di individuarne i colpevoli. Non è nostra intenzione mettere alla gogna delle persone, vogliamo soltanto evidenziare le responsabilità oggettive dei disastri causati dai cattivi amministratori.
Nella prima puntata parleremo di Caserta...

Caserta: situazione e amministratori
La città è sommersa dai rifiuti, i suoi abitanti, sempre più sfiduciati, vivono sotto i cumuli di spazzatura. Perfino di fronte alla famosa Reggia patrimonio mondiale dell'Unesco si possono trovare montagne di immondizia... è uno scadalo !!

Ecco qual è la situazione di Caserta:

E' uno spettacolo indecente...

Di chi è la colpa? Chi sono gli amministratori di Caserta?
Il sindaco di Caserta è Nicodemo Petterutti dell'Unione (centro-sinistra).

Data Elezione: 28/05/2006 (nomina: 13/06/2006)
Partito: Centro-Sinistra (Liste Civiche)
(dati presi da www.comuni-italiani.it)
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A.A.A Cercasi sindacalisti onesti... dove siete?
La crisi economica che sta attanagliando le famiglie italiane è una mina che può esplodere da un momento all'altro.
Il governo delle Frodi, per placare gli animi ed evitare sommosse popolari, ha deciso di dare un contentino alle famiglie, ma a quale prezzo?
Per reperire le risorse necessarie ad un eventuale provvedimento "pro famiglie e pro lavoratori" il governo delle Frodi ha deciso di tassare le rendite finanziare.
Ci troviamo di fronte all'ennesimo caso di cura sbagliata che peggiora la malattia.

Se questo provvedimento vessatorio dovesse passare, i primi a subirne le nefaste conseguenze sarebbero coloro che hanno sottoscritto delle pensioni integrative. Infatti molti fondi di pensione si affidano ad investimenti molto prudenti quali i titoli di Stato o obbligazioni "super sicure". L'aumento dei tassi di interesse di questi titoli dal 12,5% al 20 % avrebbe senza dubbio un impatto negativo sui fondi di pensione.

Insomma ancora una volta sarà la povera gente a dover pagare per tutti.
Infatti, chi ricorre alla pensione integrativa: Briatore? Visco? Prodi? Di Pietro? Moratti? Totti? Padoa Schiappa? Bertinotti? Napolitano? Bassolino? Tronchetti Provera? Montezemolo?
Oppure gli operai, gli impiegati e i precari?

E i sindacati e i sindacalisti dove sono ?
Sono spariti dalla circolazione insieme ai girotondini.
Come mai il sindacato assiste inerte a questi soprusi?
Perché i sedicenti
difensori dei diritti dei lavoratori non si oppongono e non protestano contro il governo delle Frodi?
I leader dei sindacati stanno forse svendendo i diritti e il futuro dei lavoratori per assicurarsi un roseo futuro nel mondo della politica?
Purtroppo gli esempi di Bertinotti, Marini, Cofferati, Del Turco, ecc. sembrano confermare questa agghiacciante ipotesi.

Gian Battista Bozzo, questa mattina, ha spiegato molto bene questa situazione in un articolo su il Giornale: clicca qui per leggerlo.
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11 gennaio 2008

L'incerenitore di Brescia
"Inquina meno di un'auto diesel, brucia i rifiuti, produce energia
elettrica per 190mila famiglie e porta acqua calda in 50mila
appartamenti"
Nino Luca, Corriere.it
La Campania con i soldi dell'emergenza ne poteva costruire 7, Pecoraro lo ha impedito e ha bloccato la loro costruzione.
Il Pecoraro chieda scusa agli italiani e si dimetta immediatamente.
Clicca qui per vedere un fimato in cui il Pecoraro rivendica il ritiro dei finanziamenti per la costruzione dei termovalorizzatori.
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06 gennaio 2008

A.A.A. Cercasi girotondini... dove siete?
Compagni, compagne ma che fine avete fatto?
O girotondiniiiiii dove siete?

L'Italia è allo sbando, il Paese è allo sfascio, le tasse sono sempre più alte, i prezzi alle stelle, i diritti dei cittadini calpestati, i magistrati trasferiti, i criminali liberati, la stampa censurata, gli operai presi per i fondelli, i cittadini maltrattati, i pensionati trascurati, i ministri inquisiti... e voi?

Voi che avete voluto questo governo (il governo delle Frodi) dove siete?
Dove sono i vostri girotondi così belli e folkloristici?
Perché quelli di voi che sono in Parlamento non vi hanno più chiamato a raccolta?
Ma avete visto che disastro avete combinato?
E i vostri compagnucci noglobal dove sono?
Perché sono spariti anche loro ?

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Lo Spazzatour
Un giro turistico tra i rifiuti campani



Il video che avete appena visto è stato gentilmente concesso dal centrosinistra che ha permesso che tutto ciò accadesse... ringraziamolo in coro.

Purtroppo i magistrati napoletani sono tutti occupati ad indagare e intercettare attricette e veline e non possono occuparsi di queste fesserie (rifiuti, camorra, corruzione, salute dei cittadini, malgoverno).

Sembra proprio che in Campania politici, magistrati e camorristi convivano tutti allegramente.
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SOS malgoverno
Campania e Basilicata, due esempi da non seguire
Negli ultimi giorni sono balzate agli onori della cronaca due notizie:
1) La corruzione della giunta regionale della Basilicata
2) Lo stato di assoluto degrado della regione Campania

Cosa hanno in comune queste due regioni?
Sono amministrate entrambe dalla sinistra da diverse legislature.

Probabilmente, la piaga peggiore del Sud è costituita proprio dai suoi amministratori.
Osservando quello che sta avvenendo a livello nazionale, sembra proprio che la sinistra voglia ridurre tutta l'Italia in quello stato disastroso.
Cosa ne pensate?
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